Iranul a ordonat militanţilor din Irak să se pregătească să atace ambasada şi alte interese americane de la Bagdad, dacă SUA vor decide să intervină militar în Siria, informează astăzi cotidianul The Wall Street Journal (WSJ), care citează mesaje interceptate de serviciile secrete americane.
Mesajul Teheranului a fost transmis de Qasem Soleimani, comandantul unităţii de elită Al-Qods, divizie a Corpului Gardienilor Revoluţiei Islamice din Iran, şi era destinat diverselor miliţii şiite din Irak, potrivit funcţionarilor americani, transmite EFE, conform Agerpres. Potrivit The Wall Street Journal, Soleimani recomanda în mesajul transmis grupărilor şiite din Irak să fie în stare de alertă pentru a răspunde unui eventual atac al SUA împotriva Siriei.
Il vertice del G20, conclusosi oggi a San Pietroburgo, ha confermato tutte le divisioni della comunità internazionale sulla crisi siriana e, soprattutto, sull’intervento armato annunciato da Barack Obama. Divisione netta ma che secondo una nota degli Usa vedrebbe 11 paesi (Australia, Canada, Francia, Italia, Giappone, Repubblica di Corea, Arabia Saudita, Spagna, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti d’America) a favore di una riposta forte dopo la condanna per l’uso delle armi. Ma le divisioni restano confermate anche dal faccia a faccia tra il presidente americano e il padrone di casa russo, Vladimir Putin, che alla fine una riunione bilaterale a margine dei lavori l’hanno avuta. Riunione breve, peraltro, non certo paragonabile a un summit vero e proprio come quello originariamente in agenda e poi cancellato per gli strascichi dell’Nsagate, e contraddistinta da perduranti «divergenze» sulla Siria: è stato lo stesso Putin a ribadirlo, pur definendo il colloquio con Obama, meno di mezz’ora, «amichevole e costruttivo». Putin ha poi avvertito che, qualora passassero davvero all’offensiva, gli Stati Uniti e i loro alleati «si porrebbero al di fuori del diritto», in quanto non si tratterebbe di auto-difesa e d’altra parte occorrerebbe la «preventiva approvazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite». La Russia, ha avvertito, se le cose andassero diversamente aiuterebbe Damasco, sebbene solo sul piano «umanitario». La contrapposizione tra i due schieramenti si è consumata anche sul piano strettamente numerico. Il confronto è stato aperto dal premier turco Recep Tayyip Erdogan, secondo cui tra i partecipanti al G20 i più sarebbero favorevoli all’intervento. Putin nella conferenza stampa conclusiva ha ribattuto con cifre opposte: solo Stati Uniti, Arabia Saudita, Turchia e Francia appoggerebbero un attacco anti-siriano, insieme ai governi di Gran Bretagna, il cui Parlamento ha però bocciato l’iniziativa, e Canada, che comunque ha da tempo fatto sapere che non vi parteciperebbe direttamente. Contrari, tra gli altri, Russia, Cina, Argentina, Brasile, India, Indonesia, Sudafrica e l’Italia, unica citata tra i Paesi occidentali, con in più il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon. Immediata la contro-replica della Casa Bianca: undici Stati sui venti presenti a San Pietroburgo sarebbero pronti non solo a condannare l’attacco chimico del 21 agosto ma altresì a dare «una forte risposta internazionale» a Bashar al-Assad. La parola passa adesso al Congresso americano, che voterà sull’eventuale operazione anti-siriana la settimana prossima: ad affermarlo non è stato Obama bensì il francese Francois Hollande. L’americano ha anzi preferito sorvolare su come si comporterebbe qualora il Parlamento lo sconfessasse. A San Pietroburgo a margine del summit del G20 è arrivato l’ennesimo monito del segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, secondo il quale un’azione militare «avventata» in Siria potrebbe causare «serie e tragiche conseguenze» e portare a «a ulteriori violenze settarie», ha ammonito . Ban, che ha definito la crisi umanitaria in Siria «senza precedenti» nella storia recente - ha lanciato un appello alle grandi potenze perché mettano da parte le divergenze sul conflitto e prendano decisioni concertate per aiuti umanitari alla popolazione. Circa un terzo della popolazione che viveva in Siria prima del conflitto - rivelano dati Onu - è emigrata o è stata costretta a lasciare le proprie case nei due anni mezzo di rivolta contro il presidente Bashar al-Assad. Ban Ki Moon ha incontrato oggi a margine del G20 di San Pietroburgo la cancelliera tedesca Angela Merkel, il presidente francese Francois Hollande con il suo ministro degli esteri Laurent Fabius e il premier turco Recep Tayyip Erdogan per discutere della crisi siriana. Il segretario generale Onu ha anche sottolineato l’urgenza di «evitare un’ulteriore militarizzazione del conflitto e di rinnovare, invece, la ricerca di una soluzione politica». «Il mondo deve fare qualsiasi cosa in suo potere per fermare la sofferenza del popolo siriano», ha aggiunto.